IL TRIBUNALE 
 
    Pronunciano nel procedimento n. 322 (+ 326)/2013 rgl; 
 
                          Rileva ed osserva 
 
    Sia la lavoratrice, Luciana Borsini, sia la  datrice  di  lavoro,
Novartis   Vaccines   and   Diagnostics   S.r.l.,   hanno    proposto
"opposizione", ai sensi  del  comma  51,  art.  1,  l.  2012  n,  92,
all'"ordinanza" 8 aprile 2013 del Tribunale di Siena, in funzione  di
giudice del lavoro, a mezzo della quale si "ordina(va) alla  Novartis
Vaccines and Diagnostics Srl l'immediata  reintegrazione  di  Luciana
Borsini nel posto di lavoro" ad esito  del  licenziamento  intimatole
con lettera 21 settembre 2012. 
    All'udienza 2 agosto  2013  il  giudice  -  il  medesimo  giudice
persona fisica - si e' preliminarmente riservato sulla sollecitazione
ad  astenersi  ex   art.   51,   comma   1,   n.   4,   cpc,   quindi
obbligatoriamente, per aver "conosciuto (della causa) come magistrato
in altro grado del processo", specificamente nella fase a  cognizione
sommaria apprestata dai commi 48/50. 
    Sulla questione non  puo'  ritenersi  stabilmente  ambientato  un
"diritto vivente", se non incarnato in "una lonza (...)  che  di  pel
maculato era coverta", che per il giurista  non  puo'  classificarsi,
ammantarsi di quel nome. Firenze non la pensa come Milano, che a  sua
volta la pensa come Genova, Bologna e Palermo, ma  non  come  Napoli,
Reggio Calabria, etc., senza che possa dirsi prevalente  e  costante,
consolidata  una  interpretazione  giudiziale,   anche   perche'   la
disciplina  della  materia  e'  troppo  recente  per  consentire   la
formazione di un "diritto vivente", una interpretazione normativa che
abbia acquisito  "forza  di  modello  unificante  delle  applicazioni
giurisprudenziali" e su  di  essa  si  sono  gia'  creati  insanabili
conflitti giurisprudenziali sui quali la Corte puo' da subito fornire
il proprio prezioso orientamento ermeneutico egalitario. 
    Vissuta,  invece,   riteniamo   l'interpretazione   della   Corte
Costituzionale, espressa nell'ordinanza 1997/n. 356 e nella  sentenza
1999/n. 387, rese in materia certamente almeno  limitrofa,  quale  il
procedimento ex  art.  28,  l.  1970/n.  300,  di  repressione  della
condotta antisindacale, senza dimenticare l'ulteriore intervento,  in
diversa materia, rappresentato dalla sent. 2005/n. 460. 
    Con l'ord.  1997/n.  356,  "(si  e')  dichiara(ta)  la  manifesta
infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
28, ultimo comma, della legge 20 maggio 1970,  n.  300  (Norme  sulla
tutela della liberta'  e  dignita'  dei  lavoratori,  della  liberta'
sindacale e dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento), come novellato dall'art.  6,  della  legge  12  giugno
1990, n. 146  (Norme  sull'esercizio  del  diritto  di  sciopero  nei
servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia  dei  diritti  della
persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di
garanzia dell'attuazione della legge), sollevata, in riferimento agli
artt.  3  e  24  della  Costituzione,  dal  Tribunale  amministrativo
regionale della Lombardia". 
    "La norma denunciata - argomenta l'ord. 1997/n. 356 - puo'  avere
il  solo  significato  di  indicazione  dell'organo   giurisdizionale
competente, e non quello ulteriore di vincolo nella composizione  del
Tribunale  amministrativo  regionale,  restando  questa  disciplinata
dalle  normali  regole  proprie  del  giudizio  amministrativo,   ivi
comprese quelle relative ai poteri presidenziali di assegnazione  dei
ricorsi alle  singole  udienze  e  ai  relatori,  con  conseguenziale
determinazione del collegio,  ovvero  riguardanti  la  insopprimibile
esigenza di imparzialita' del  giudice  e  risolvibili  nel  processo
amministrativo per la sua peculiarita' attraverso gli istituti  della
astensione e della ricusazione, come  del  resto  avverte  lo  stesso
giudice rimettente; che il  contenuto  della  norma  denunciata,  non
avendo alcun  effetto  di  vincolare  la  composizione  del  collegio
giudicante in sede di opposizione avverso il  decreto  a  seguito  di
cognizione  sommaria,  non  preclude  una  eventuale   astensione   o
ricusazione,  i  cui  istituti  nel  sistema  proprio  del   processo
amministrativo, devono risolvere  in  modo  esaustivo  il  dovere  di
imparzialita' che esprime un valore costituzionale". 
    Con la sent. 1999/n. 387, "(si e') dichiara(ta) non fondata,  nei
sensi  di  cui  in  motivazione,   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 51, primo comma, numero 4, e secondo  comma,
del  codice  di  procedura  civile  sollevata,  in  riferimento  agli
articoli 3 e 24 della Costituzione, dal  Pretore  di  Torino",  nella
parte in cui non prevede incompatibilita' tra le funzioni del giudice
pronunciatosi con decreto ex art. 28, comma  1,  l.  1970/n.  300,  e
quelle del giudice dell'opposizione a tale decreto di cui al comma 3. 
    Prese le mosse dal precedente  intervento  del  1997,  ord.  356,
cosi' argomenta la sent. 1999/n. 387: "sul piano  generale,  esigenza
imprescindibile, rispetto ad ogni tipo di processo, e' solo quella di
evitare che lo stesso giudice, nel  decidere,  abbia  a  ripercorrere
l'identico  itinerario  logico  precedentemente   seguito;   sicche',
condizione  necessaria  per  dover  ritenere   una   incompatibilita'
endoprocessuale e' la preesistenza di valutazioni  che  cadano  sulla
stessa res iudicanda (cfr. sentenza n. 131 del 1996). 
    Nel processo civile la previsione contenuta nell'art. 51,  numero
4, cod. proc. civ., secondo il  quale  il  giudice  ha  l'obbligo  di
astenersi "se ha conosciuto (della causa) come  magistrato  in  altro
grado del  processo"  trova  fondamento  nella  "esigenza  stessa  di
garanzia  che  sta  alla  base  del  concetto  di   revisio   prioris
instantiae", che postula l'alterita' del  giudice  dell'impugnazione,
il quale si trova - per via del carattere del mezzo di  gravame  -  a
dover ripercorrere l'itinerario logico che e' stato gia' seguito onde
pervenire al provvedimento impugnato  (ordinanza  n.  359  del  1998;
sentenza n. 326 del 1997). 
    Nel sistema originario  del  procedimento  di  repressione  della
condotta antisindacale, nel quale era prevista una  fase  davanti  al
Pretore, il quale decideva in ordine alla richiesta di emissione  del
decreto ex art. 28, della legge n. 300 del  1970,  ed  una  eventuale
opposizione  avanti  al  Tribunale,  non  si  poteva  dubitare  della
sussistenza di una duplicita' di fasi processuali, la  seconda  delle
quali avanti al Tribunale assumeva tutte  le  caratteristiche  di  un
ulteriore grado di giudizio. 
    Pertanto, la fattispecie rientrava all'evidenza nell'ambito della
previsione dell'art. 51, numero 4, cod. proc.  civ.,  avuto  riguardo
anche alla considerazione che il provvedimento ex art. 28 cit.  aveva
una funzione decisoria idonea di per se' a realizzare un assetto  dei
rapporti tra le parti, non  meramente  incidentale  o  strumentale  e
provvisorio ovvero interinale fino alla decisione del merito ma  anzi
suscettibile - in caso di mancata opposizione - di assumere valore di
pronuncia definitiva, con effetti di giudicato tra le parti. 
    Nello  stesso  tempo  la   valutazione   delle   condizioni   che
legittimano il provvedimento ex art. 28  non  divergeva  -  quanto  a
parametri di giudizio -  da  quella  che  deve  compiere  il  giudice
dell'eventuale   opposizione,   se   non   per   il   carattere   del
contraddittorio  e  della  cognizione  sommaria;  allo  stesso  modo,
risultando identici l'oggetto e il presupposto dell'azione di  tutela
contro la condotta antisindacale nelle due fasi, la seconda  di  esse
assumeva valore impugnatorio con  contenuto  sostanziale  di  revisio
prioris instantiae. 
    6. - Il  rapporto  tra  le  due  fasi,  sotto  il  profilo  della
imparzialita-terzieta' del giudice non puo',  ora,  ritenersi  mutato
per il semplice sopravvenuto intervento di modifica (legge 8 novembre
1977, n. 847, art. 3, sostitutivo del terzo comma dell'art. 28, della
legge n. 300 del 1970) della  sola  norma  sulla  competenza  con  la
riunificazione di questa in  capo  al  giudice  monocratico,  essendo
rimaste identiche le norme  relative  ai  poteri  del  giudice  nelle
diverse fasi, ai presupposti delle pronunce, nonche' agli  effetti  e
alle altre regole dello speciale procedimento". 
    "7. -  Ancora  -  prosegue  la  sent.  1999/n.  387  -  non  puo'
costituire ostacolo ad una applicazione, nelle fasi del  procedimento
di  repressione  di  condotta  antisindacale,  della   regola   della
alterita' del giudice dell'impugnazione  la  dizione  del  codice  di
procedura del 1942, cioe' "magistrato in altro grado del processo". 
    Tale espressione deve, infatti, intendersi alla luce dei principi
che si ricavano dalla Costituzione relativi al giusto processo,  come
espressione necessaria del  diritto  ad  una  tutela  giurisdizionale
mediante azione (art. 24 della Costituzione) avanti ad un giudice con
le garanzie proprie della giurisdizione,  cioe'  con  la  connaturale
imparzialita',  senza  la  quale  non  avrebbe  significato  ne'   la
soggezione dei giudici solo alla legge (art. 101 della Costituzione),
ne' la stessa autonomia ed indipendenza della magistratura (art. 104,
primo comma, della Costituzione). 
    In altri termini, la espressione "altro grado" non puo' avere  un
ambito ristretto al solo diverso grado del processo, secondo l'ordine
degli uffici giudiziari, come previsto dall'ordinamento  giudiziario,
ma  deve  ricomprendere  -  con  una   interpretazione   conforme   a
Costituzione - anche la fase che, in un processo civile,  si  succede
con  carattere   di   autonomia,   avente   contenuto   impugnatorio,
caratterizzata (per la peculiarita' del giudizio  di  opposizione  di
cui si discute) da pronuncia che attiene al medesimo oggetto  e  alle
stesse valutazioni decisorie sul merito  dell'azione  proposta  nella
prima fase, ancorche' avanti allo stesso organo giudiziario". 
    "8. - Infine - conclude la sent. 1999/n. 387 - non puo'  impedire
la anzidetta interpretazione dell'art. 51, numero 4, cod. proc. civ.,
la circostanza che l'ufficio giudiziario rimettente abbia dei criteri
di assegnazione delle cause ai magistrati della sezione  del  lavoro,
espressi nelle tabelle periodiche,  nel  senso  della  identita'  del
giudice delle due fasi, posto che una determinazione organizzatoria -
amministrativa, non puo' derogare a principi  contenuti  nelle  norme
processuali e costituzionali, dovendo il giudice disapplicarla  -  in
quanto priva di forza di legge - se in contrasto con detti principi. 
    Del resto, altri uffici giudiziari, sulla base di diverse tabelle
debitamente approvate, hanno da tempo  applicato  criteri  del  tutto
conformi  ai  principi   costituzionali   sopraindicati,   disponendo
l'assegnazione delle cause di opposizione a decreto ex art. 28, della
legge n.  300  del  1970  sulla  base  degli  ordinari  criteri,  con
esclusione specifica del giudice del primo procedimento. 
    Tantomeno puo' valere ad escludere l'anzidetta interpretazione la
considerazione di possibili rischi di lentezze  e  difficolta'  nella
gestione   degli   uffici   giudiziari,   poiche'   deve    ritenersi
assolutamente   preminente   il   principio   costituzionale    della
imparzialita' del giudice, da attuarsi nel processo civile per  mezzo
dell'istituto  dell'astensione  e  ricusazione.  D'altro  canto,   le
prospettate difficolta', mentre  risultano  gia'  all'epoca  smentite
dalla pacifica attuazione dei principi anzidetti in uffici giudiziari
con dimensioni di procedimenti tutt'altro  che  insignificanti,  sono
ormai del tutto trascurabili a seguito della istituzione del  giudice
unico di primo grado, che consentira' una possibilita' di scelta piu'
ampia tra magistrati cui assegnare la seconda fase del procedimento a
seguito di opposizione, 
    9. - In definitiva, la questione deve essere dichiarata infondata
sotto tutti i profili denunciati dalle tre ordinanze del  Pretore  di
Torino, essendo l'interprete tenuto ad una esegesi costituzionalmente
corretta della  norma  denunciata,  tale  da  ricomprendere,  tra  le
ipotesi, dalla stessa  contemplate,  di  obbligo  di  astensione  del
giudice per avere conosciuto della causa in un  altro  grado,  quella
dell'opposizione a decreto dallo stesso  emesso  ex  art.  28,  primo
comma, della legge n. 300 del 1970". 
    Infine, con la sent. 2005/n. 460,  la  Corte  costituzionale,  in
altra materia (giudizio di opposizione di cui all'art. 18,  del  r.d.
1942, n. 267, Disciplina del fallimento, del  concordato  preventivo,
dell'amministrazione  controllata   e   della   liquidazione   coatta
amministrativa), ha nuovamente "dichiara(to) non fondata,  nei  sensi
di cui in motivazione, la questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 51, primo comma, numero 4 del codice di  procedura  civile,
sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, dal
Tribunale ordinario di Grosseto". 
    Compiuto ampio riferimento e piena condivisione, in specie  della
sent. 1999/n.  387,  la  sent.  2005/n.  460,  puntualizza,  "che  la
sostanziale  natura  impugnatoria  dell'opposizione   alla   sentenza
dichiarativa di fallimento non si riscontra,  come  questa  Corte  ha
gia'  statuito,  nel  caso  dell'opposizione   allo   stato   passivo
(caratterizzato da accertamento sommario, incompleto e  superficiale:
sentenze n. 158 del 1970; n. 94 del 1975; ordinanze n. 304 del  1998;
n. 167 del 2001; n. 75 del 2002), del reclamo ex art. 26, della legge
fallimentare   avverso    provvedimenti    del    giudice    delegato
(caratterizzato dalle esigenze di continuita' dello svolgimento della
procedura concorsuale:  sentenza  n.  363  del  1998),  del  giudizio
promosso dal curatore su autorizzazione .del giudice  delegato  (data
sulla base di una mera delibazione di non infondatezza: ordinanza  n.
176 del  2001).  Ne'  si  riscontra,  al  di  fuori  delle  procedure
concorsuali, nei casi - anch'essi esaminati  da  questa  Corte  -  di
provvedimento cautelare  autorizzato  ante  causam  e  di  successiva
cognizione piena in sede di giudizio di merito (sentenza n.  326  del
1997), di  decisione  emessa  ex  art.  187-quater  cod.  proc.  civ.
(ordinanza n. 168 del 2000), di  rinvio  cosiddetto  restitutorio  ex
art. 354 cod. proc. civ. (sentenza n. 341 del 1998). 
    3.3.  -  In  conclusione,  l'obbligo  di  astensione  -  la   cui
violazione e' idonea  a  rendere  nulla  la  sentenza  per  vizio  di
costituzione del giudice solo  se  sia  tempestivamente  proposta  la
ricusazione e questa venga erroneamente respinta -  presuppone,  come
nell'ipotesi qui in esame, che il procedimento svolgentesi davanti al
medesimo ufficio  giudiziario  sia  solo  apparentemente  "bifasico",
mentre  in  realta'  esso  -  per  le  caratteristiche  decisorie   e
potenzialmente definitive del provvedimento che chiude la prima  fase
e per  la  sostanziale  identita'  di  valutazioni  da  compiersi  in
entrambe le fasi nel  rispetto  del  principio  del  contraddittorio,
ancorche' realizzato con modalita' deformalizzate -  si  articola  in
due momenti, il secondo dei quali assume il valore di vera e  propria
impugnazione, e acquista pertanto, i caratteri essenziali  di  «altro
grado del processo». 
    Se  abbiamo  riletto  e  ricordato  a  noi  stessi  il  pensiero,
l'interpretazione del Giudice delle Leggi e' per maturare ancor  piu'
pienamente la convinzione che quei principi,  traslati  nella  nostra
fattispecie (procedimento ex art. 1, comma 47 ss., l. 2012/n. 92) non
possano che condurre all'accoglimento della sollecitazione  astensiva
ovvero velata minaccia ricusatoria. 
    Non pare dubbio, infatti, che il provvedimento  conclusivo  della
fase sommaria, l'ordinanza immediatamente esecutiva,  tra  altro  con
previsione di temporanee  non  sospensione  o  revoca  (co.  50),  di
accoglimento  o   rigetto   della   domanda   di   impugnazione   del
licenziamento nelle ipotesi previste dall'art. 18,  l.  1970/n.  300,
chiuda  una  fase-grado,  con  attitudine  alla  definitiva  e  certa
regolamentazione dichiarativa,  decisoria  dell'assetto  del  diritto
sostanziale ad esito  dell'impugnazione  del  recesso  datoriale,  un
procedimento che non ha struttura e funzione meramente cautelari,  la
cui rilevanza socio-economica e' tra altro inversamente proporzionale
alla sua stretta delimitazione processuale (co. 48, 3° periodo). Come
non e' dubbio che il giudizio, eventuale, che ne consegua,  ex  comma
51 ss., abbia struttura e funzione impugnatoria o di  riesame  (anche
per  talune  espressioni  letterali,  quali   "contro   l'ordinanza",
"opposizione", "a pena di decadenza entro  trenta  giorni",  "con  il
ricorso non possono essere proposte domande diverse da quelle di  cui
al comma 47"). 
    Se il giudice e' notoriamente tenuto ad una interpretazione della
norma  conforme  a  Costituzione,  "l'uso,  quindi,  della  normativa
costituzionale  deve  essere  compreso   nell'ambito   della   comune
interpretazione sistematica della legge ordinaria, e dunque e' tra  i
canoni  che  il  giudice   ordinario   deve   usare   per   formulare
l'interpretazione corretta", riteniamo che la stella cometa di questa
tecnica interpretativa sia tracciata  anzitutto  dal  pensiero  cosi'
autorevolmente espresso e ribadito dalla Corte costituzionale,  e  in
materia (art. 28 Statuto dei  Lavoratori)  certo  con  impressionanti
tratti di analogia, strutturali e funzionali,  pur  nella  diversita'
della fattispecie sostanziale e  delle  esigenze  di  accertamento  e
tutela, a fronte del modello di chiara ispirazione. 
    Pertanto,   pur   dandosi   atto   dello   straordinario   sforzo
argomentativo di taluni giudici nazionali e  autori  della  dottrina,
propendiamo per l'affermazione che  l'astensione  e  in  suo  difetto
l'accoglimento della ricusazione, siano  in  materia  rispettivamente
doverose e scontate, poiche' "la reinterpretazione,  da  parte  della
Corte costituzionale, della  disposizione  impugnata  e'  pur  sempre
finalizzata al  sindacato  di  costituzionalita'  e  non  a  semplice
intento  nomofilattico,  cosi'   che   l'interpretazione   "corretta"
reperita sul piano della legislazione ordinaria (...)  e'  di  regola
anche quella "costituzionalmente conforme" sulla  quale  si  basa  la
valutazione di non fondatezza", elevandosi pertanto l'interpretazione
conforme a Costituzione quale unica interpretazione  possibile  della
disposizione impugnata. Il dispositivo delle decisioni interpretative
di rigetto sopra menzionate contiene una parte negativa in certo modo
vincolante, in quanto la disposizione non  puo'  essere  interpretata
nel senso ritenuto palesemente incostituzionale dalla Corte. 
    E' questa via orientata, non sulla base di un diritto vivente  in
materia mai nato,  ma  dall'interpretazione  vissuta  e  vivente  (da
ultimo, in generale, Corte costituzionale, sent. 3-9/7/2013, n. 183: 
      "giova premettere che, per  reiterata  affermazione  di  questa
Corte, le norme sull'incompatibilita' del giudice determinata da atti
compiuti nel procedimento,  di  cui  all'art.  34  cod.  proc.  pen.,
presidiano i valori della sua terzieta' e imparzialita',  attualmente
oggetto di espressa previsione nel secondo comma dell'art. 111 Cost.,
aggiunto  dalla  legge  costituzionale  23  novembre   1999,   n.   2
(Inserimento dei principi del giusto  processo  nell'art.  111  della
Costituzione), ma gia' in precedenza pacificamente insiti nel sistema
costituzionale. Le predette norme risultano volte, in particolare, ad
evitare che la decisione  sul  merito  della  causa  possa  essere  o
apparire condizionata dalla "forza della prevenzione" -  ossia  dalla
naturale tendenza a confermare una decisione gia' presa o a mantenere
un atteggiamento gia' assunto -  scaturente  da  valutazioni  cui  il
giudice sia stato precedentemente chiamato in  ordine  alla  medesima
res iudicanda (ex plurimis, sentenze n. 153 del 2012, n. 177 del 2010
e n. 224 del 2001)", e per certi aspetti vincolante del Giudice delle
Leggi, che riteniamo  sommessamente  doversi  modificare,  sotto  due
profili. 
    Il  primo,  che  sosteniamo  con  particolare  convinzione,   con
specifico riferimento alla propria esperienza, ma condivisa da  tutte
quelle numerose sedi giudiziarie del Paese in  cui  istituzionalmente
e' previsto uno ed un solo Giudice unico del Lavoro persona fisica. 
    Il secondo, di portata piu' generale e problematica. 
    Riteniamo infatti, non potendo  discostarci  dall'interpretazione
conforme a Costituzione data, quale unica  interpretazione  possibile
delle disposizioni impugnate, che la ponderazione di tutti  i  valori
costituzionali  da  bilanciare  in  materia  debba  sempre   condurre
piuttosto alla  identita'  del  giudice  persona  fisica,  nelle  due
fasi-grado  in  cui  si  articola  il  procedimento  implicato  nella
presente controversia (art. 1, comma 47 ss. l. 2012/n. 92). 
    Quanto al primo profilo, si tratta di rendersi conto  come  nelle
diffuse  realta'  locali  predette,  quali  la   sanese,   aderendosi
doverosamente alla impostazione  massimamente  garantista  riportata,
non ci si limiti a "introdurre  nella  gestione  degli  uffici,  gia'
appesantita da lentezze di varia  natura,  nuove  difficolta'",  gia'
stigmatizzate nella loro essenziale irrilevanza dalla  sent.  1999/n.
387, "poiche' deve ritenersi assolutamente  preminente  il  principio
costituzionale della imparzialita' del giudice" (cfr.  inoltre  sent.
2005/n. 460, che al passo compie richiamo:  "esclusa  ogni  rilevanza
dei pretesi inconvenienti fattuali  derivanti  dalla  interpretazione
adottata come l'unica conforme a Costituzione"). 
    Le controversie ex art. 409 cpc, che forse e senza forse assumono
il piu' elevato spessore individuale ed economico-sociale,  quali  le
controversie aventi ad oggetto  l'impugnativa  dei  licenziamenti  in
area regolata dall'art. 18" (tra le quali debbono ricondursi anche  i
licenziamenti collettivi ex lege  1991/n.  223  e  mod.  succ.),  una
disposizione che si compone oggi di "sole" 1675  parole,  vengono  ad
essere sottratte alla professionalita' del Giudice unico del  Lavoro,
per essere in sede locale demandate alla cognizione di un giudice non
specializzato,  e  cio'   non   in   via   eccezionale   (astensione,
ricusazione, temporanea assenza) dove  la  deroga  appare  pressoche'
inevitabile, ma con previsione  ordinaria  e  nella  generalita'  dei
casi. 
    Aprendo una piccola digressione empirica, nella realta' locale in
circa un anno di applicazione della legge di "riforma del mercato del
lavoro in una prospettiva di crescita" sono stati proposti  e  decisi
con ordinanza circa sessanta ricorsi ex comma 48, art. 1, l.  2012/n.
92. I giudizi di opposizione ex comma  51,  sono  stati  proposti  in
numero di circa 10. Un rapporto fase sommaria/opposizione di circa  6
ad 1. 
    L'attribuzione a giudice non  specializzato  dell'una  o  l'altra
delle due fasi-grado presenta  attentati  lesivi  di  pari  gravita':
attribuire al giudice non specializzato la fase a cognizione sommaria
parrebbe demandare ad esso la potenziale  definizione  della  maggior
parte del contenzioso in materia; attribuire, invece, al giudice  non
specializzato la fase a cognizione ordinaria, sottrae al giudice  che
professionalmente  opera  in  funzione  di  giudice  del  lavoro   la
definizione del giudizio di primo,  sia  pure  articolato,  grado  ex
commi 51/57. Due soluzioni che travalicano entrambe l'argine pur  non
privo di rispettabilita' dell'"Inconveniente  fattuale"  ed  esondano
nella piu' aperta violazione, dell'art. 3, commi 1 e 2, dell'art. 24,
commi 1 e 2, dell'art. 25, comma 1, Cost. 
    L'"inconveniente"  appena  sopra  denunciato  non   si   propone,
ovviamente, non appena le figure professionali del Giudice unico  del
Lavoro siano impersonate istituzionalmente, ordinariamente,  da  piu'
di una persona fisica, come in altrettanto numerose realta' locali  -
ma il legislatore nazionale dovrebbe appunto essere nazionale  e  non
locale - tuttavia, ribadiamo che la ponderazione di  tutti  i  valori
costituzionali da bilanciare in materia debba  sempre  condurre  alla
identita' del giudice persona fisica, nelle due fasi-grado in cui  si
articola il procedimento implicato nella presente controversia  (art.
1, comma 47 ss. l. 2012/n. 92). 
    La finalita' dichiarata del legislatore del 2012 di "riforma  del
mercato del lavoro in una prospettiva di crescita" (art. 1, comma  1,
l. n. 92: "la presente legge dispone misure  e  interventi  intesi  a
realizzare un mercato del lavoro inclusivo e dinamico,  in  grado  di
contribuire alla creazione di occupazione, in quantita'  e  qualita',
alla crescita sociale ed economica e alla  riduzione  permanente  del
tasso di disoccupazione"), si e' voluta attuare in  particolare,  per
quanto  qui  di  interesse,"(...)  adeguando   contestualmente   alle
esigenze  del  mutato  contesto  di  riferimento  la  disciplina  del
licenziamento, con previsione altresi' di un procedimento giudiziario
specifico per accelerare la definizione delle relative controversie",
fortemente valorizzando in tempi di grave crisi un evidente interesse
pubblico, economico-sociale, di sembianza bilaterale, proprio sia del
lavoratore che del datore di lavoro, tale tra altro  da  imporre  una
almeno tendenziale obbligatorieta' e non mera facoltativita' del rito
speciale. 
    Ora, non solo dobbiamo registrare stupefatti, a fronte di  questa
importante proclamazione  di  intenti,  il  contenuto  del  comma  69
("dall'attuazione delle disposizioni di cui ai commi da 47 a  68  non
devono derivare  nuovi  o  maggiori  oneri  a  carico  della  finanza
pubblica, ovvero minori entrate"), ma  assistiamo  inermi  in  questo
disegno "a costo zero", a fronte della avvertita, giusta esigenza  di
accelerazione processuale in materia, alla scomposizione bifasica del
giudizio di primo grado, cioe' alla  introduzione  di  un  meccanismo
processuale che inevitabilmente ritarda, in luogo di  anticipare,  la
definizione della causa (ed e' solo un dato empirico isolato,  locale
e provvisorio la cennata rilevazione di una  elevata  percentuale  di
definizioni in fase sommaria, ex comma 49, non seguite da opposizione
ex comma 51). 
    Se in questo assetto rituale introduciamo la necessaria  presenza
di due  giudici  persona  fisica  ad  occuparsi  della  materia,  con
aggravato dispendio di tempo e risorse da parte di una organizzazione
in  molti  casi  gia'  gravemente  sofferente,  senza   criterio   di
ragionevole proporzionalita', viene a collocarsi nel gia'  complicato
meccanismo un  fattore  di  ulteriore  potenziale  rallentamento  del
giudizio  che,  se  deve  svolgersi  "davanti  a  giudice   terzo   e
imparziale", deve altresi'  ricevere  assicurazione  da  parte  della
legge di  una  "ragionevole  durata"  (art.  111  Cost.),  non  senza
misconoscere     elementari     istanze     di     buon     andamento
dell'amministrazione anche della Giustizia (art. 97), e gia'  abbiamo
appena sopra rilevato la negativa precauzione legislativa  del  comma
69. 
    Ne puo' tacersi sullo sfondo  il  principio,  di  applicazione  e
derivazione comunitaria, in base al quale una determinata norma  deve
essere  interpretata,  di  preferenza,  in  modo   da   favorire   il
raggiungimento dell'obiettivo in essa prefissato, Corte di Giustizia,
Quinta Sezione,  sentenza  14  ottobre  1999,  Adidas  AG,  in  causa
C-223/98  (punto  24:  "si  deve  rilevare  poi  che,  allorche'  una
disposizione di  diritto  comunitario  e'  suscettibile  di  svariate
interpretazioni delle quali una sola idonea a salvaguardare l'effetto
utile della norma, e' a questa che  occorre  dare  priorita'"),  come
sent. 22 settembre 1988, Land della Sarre e altri, in causa  C-187/87
(punto 19: "(...)  solo  l'interpretazione  secondo  la  quale  (...)
consente di realizzare lo scopo di  detta  norma.  E  ad  una  simile
interpretazione, idonea a salvaguardare effetto  utile  della  norma,
che occorre  dare  priorita',  conformemente  ad  una  giurisprudenza
costante della  Corte"  (sentenza  5  maggio  1981  Commissione/Regno
Unito, causa C-804/79; sentenza 31 marzo 1971, Commissione/Consiglio,
causa C-22/70; sentenza 6 ottobre 1970, Grad, causa C-9/70). 
    Del resto, senza delicate e difficili trasposizioni  concettuali,
soccorre in tal senso gia' nel nostro ordinamento, lo stesso art.  12
disp. prel. c.c.. 
    Di qui, riteniamo, la  violazione  omissivamente  perpetrata  dal
legislatore  in  pregiudizio  anche  di  quel  valore  costituzionale
("ragionevole durata" del processo, ex art. 111 Cost.), al  quale  in
materia, ed  oggi  con  particolare  forza,  deve  essere  attribuita
valenza dominante, per attenere anch'esso a un principio e un diritto
fondamentale, valenza che non e'  peraltro  possibile  all'interprete
accentuare  ed  affermare   sulla   base   del   rigoroso,   assoluto
orientamento della Corte costituzionale sul tema della preminenza del
valore dell'imparzialita' del giudice sopra trascorso in rassegna. 
    Se ci sentiamo, serenamente, di propugnare  questo  abbassamento,
per dir cosi', del livello di guardia sul terreno della terzieta'  ed
imparzialita' del giudice e' anzitutto per  una  lettura  processuale
consapevolmente  egalitaria,  ex  art.  3   Cost.,   risultando   non
pienamente comprensibile l'adozione in materia di licenziamento,  pur
nei casi regolati  dall'art.  18,  l.  1970/n.  300,  di  una  scelta
ordinamentale che preveda l'intervento di due giudici persona  fisica
in primo grado, aggravando quell'unicum rappresentato dall'esperienza
dell'art. 28, l. 1970/n. 300. 
    Propendiamo,  inoltre,  per  una  lettura  di  quei  fondamentali
principi che privilegi all'apparenza della terzieta' ed imparzialita'
la sua sostanza. 
    Il mestiere del  giudice  esercitato  nel  corso  del  grado  del
giudizio e' frutto continuo di progressive,  stratificate,  implicite
ed esplicite decisioni, provvisorie,  di  parziali  anticipazioni  di
giudizio  (una  fra  tutte,  la  valutazione  di  ammissibilita',  ma
soprattutto rilevanza, dei mezzi di prova costituendi),  senza  stare
neppure a menzionare la possibilita' di provvedimenti  interinali  di
condanna (art. 423 cpc), come di provvedimenti cautelari ante causam,
come in corso di causa (artt. 669-ter e  quater  cpc),  provvedimenti
autorizzatori o inibitori della provvisoria  esecuzione  (artt.  648,
649 cpc), etc. senza per questo potersi lontanamente concepire,  pena
la paralisi del sistema, un giudizio di primo  grado  impersonato  da
cento giudici diversi. 
    Il giudice toccato in sorte in primo grado  al  lavoratore  e  al
datore di lavoro, "sentite le parti  e  omessa  ogni  formalita'  non
essenziale al contraddittorio", "proceduto nel modo che ritiene  piu'
opportuno agli atti di istruzione  indispensabili  (...)",  emana  ex
comma 49 una ordinanza. 
    Il suo percorso cognitivo ed argomentativo e' per  certi  aspetti
sicuramente sommario e i tempi imposti  dal  legislatore  (comma  48)
sono inoltre serrati. 
    Nel giudizio eventuale di opposizione (comma  51)  questo  stesso
giudice certamente ripercorrera' quella cognizione ed argomentazione,
essenzialmente  sul  medesimo  oggetto,  ma  su  basi   ricostruttive
fattuali e anche giuridiche  almeno  parzialmente,  ma  decisivamente
nuove, nell'ambito di una cognizione ora piena ed esauriente, che non
soffre della  maturazione  di  preclusioni  per  effetto  della  fase
pregressa e  che,  in  ogni  caso,  al  suo  esito  sara'  pienamente
controllabile ad opera del giudice dell'appello. 
    Vogliamo spingerci oltre, per affermare che la  garanzia  di  una
decisione giusta, obiettivo che supera e trascende  il  valore  della
terzieta' ed imparzialita', riceve piu' consistente  probabilita'  di
funzionamento  e  riuscita  proprio  ad   esito   di   una   sommaria
anticipazione di giudizio, che consente alla  parte  provvisoriamente
soccombente di affinare e profondere il proprio sforzo  argomentativo
e persuasivo, in attuazione del principio  del  contraddittorio  piu'
piena rispetto alla ordinaria situazione in cui un  giudice  silente,
magari ad esito di attivita' istruttoria,  certamente  ha  cominciato
nella propria mente (pur senza incorrere in violazione dell'art. 101,
comma 2, introdotto dalla l. 2009/n. 69, art. 45) a maturare un certo
convincimento contro il quale la parte  potenzialmente  pregiudicata,
per non conoscerlo, rischia di non avere armi o di poterne  sfoderare
di minor efficacia. 
    In fondo e' questa la difesa anche del valore  della  dignita'  e
della professionalita' del giudice, della sua  sostanziale  terzieta'
ed imparzialita' -  non  condividiamo  pienamente  la  teorica  della
"forza  della  prevenzione"  -  ossia  dalla  naturale   tendenza   a
confermare una decisione gia' presa o a  mantenere  un  atteggiamento
gia'  assunto"  (v.  sopra),  ne'  "il  paventato  pericolo  di   una
degenerazione intuizionistica e di  una  deriva  illegalistica",  "il
rischio di sconfinare nell'abuso e nell'arbitrio" - che sviliscono  e
mortificano il nostro intelletto e il nostro  lavoro,  tra  altro  in
tempi nei quali ad opera di diffusi settori politici e sociali appare
cosi' poco considerato, antidemocraticamente. 
    Riteniamo pertanto  rilevante,  in  relazione  all'oggetto  della
presente controversia, di "opposizione", ai sensi del comma 51,  art.
1, l. 2012/n. 92, all'"ordinanza" 8  aprile  2012  del  Tribunale  di
Siena, in funzione di giudice del lavoro,  a  mezzo  della  quale  si
"ordina(va) alla Novartis Vaccines and  Diagnostics  Srl  l'immediata
reintegrazione di Luciana Borsini nel posto di lavoro", ad esito  del
licenziamento intimatole con lettera 21 settembre 2012, la  questione
di legittimita' costituzionale del comma 51  medesimo,  nel  contesto
procedimentale di inserimento (art. 1, comma 47 ss., l. 2012/n.  92),
come dell'art. 51, comma 1, n. 4, cpc, nella parte in  cui  la  prima
disposizione  non  prevede  che  il  giudizio  di  opposizione  abbia
svolgimento davanti al medesimo giudice  persona  fisica  della  fase
sommaria  e  la  seconda  non  esclude  dalla  sua  operativita'   la
fattispecie in parola, in  violazione  non  manifestamente  infondata
dell'art. 3, commi 1 e 2, dell'art. 24, commi 1 e  2,  dell'art.  25,
comma 1, dell'art. 97 e dell'art. 111, comma 1, pt. II, Cost.